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Una storia italiana di cui quasi nessuno sa nulla…

Non strappare fiori che formano ghirlande

“Il nostro privilegio di uomini senza posizione, socialmente falliti, è di poter dire a noi stessi: la tua vita comincia domani”  (Mircea Eliade, “Giornale”)

Una nave affondata nel cuore

“We’re born mad; then we acquire morality and become stupid and unhappy: then we die” (Mircea Eliade, Diari)

Quando Giorgio Vigolo è morto, avevo compiuto da poco 13 anni e, seppure abitassi a poche decine di metri da lui e mio zio Enrico lo conoscesse bene, non credo ci fossimo mai incontrati. E’ stato solo qualche anno più tardi che ne ho conosciuto il nome: grazie a un suo romanzo giovanile (ma quasi postumo) trovato d’estate su una bancarella ai giardini di Castel Sant’angelo, “La Virgilia”. Storia di un amore fantasmatico oltre il Tempo, ambientato in una Roma ottocentesca ma eterna, dove i veri profili delle cose e delle persone sono celati dietro l’apparente realtà, “La Virgilia” ha avuto su di me un’infuenza enorme – in un certo senso “Il Giardino Elettrico” non ne è altro che un campionamento, una cover che si intreccia con un altro racconto indimenticabile di Vigolo, “Avventura a Campo de Fiori”. Ora sono tornato a vivere in Prati, e spesso passo sotto l’ultima casa di Vigolo a Viale Mazzini. A volte mi sembra di vederlo uscire dal portone, guardarsi intorno alla ricerca di qualcosa, o di qualcuno. Un giorno, quando avremo di nuovo la stessa età, lo avvicinerò, e lo ringrazierò raccontandogli alcuni segreti, anche se forse lui li conosce già.

“Se in un punto potessero incontrarsi (ricordi e prime speranze), la via della vita sarebbe riaperta, ristabilito il respiro sul favoloso regno della prima giovinezza. Sarebbe quello il punto realissimo e ideale: il luogo geometrico dello spirito… Sarà possibile raggiungerlo mai?” (da “Il ricordo perfetto”, 1940)

“La celebrità mi corre dietro e non mi raggiunge mai”

(citato da Leonetta Cecchi Pieraccini in “Vecchie agendine”)

Primo luglio. A Roma i fantasmi sono scivolati all’ombra degli alberi, nei giardini pubblici. Io, dopo tanto tempo, torno in questo giardino. Domani Milanesiana a Bergamo, con Nada.

Racconterò una storia di morte e resurrezione, di travagli e lotte con se stessi. Di letteratura e rock’n’roll. E’ dal rock’n’roll che partirò. Da Robert Johnson, l’uomo che trasformò il blues del Delta nella musica del Diavolo prima di essere ucciso da un marito geloso con del whiskey avvelenato.

E racconterò la storia di due ragazzi italiani che, negli stessi anni in cui Robert Johnson trovava la propria voce e cambiava per sempre la storia della cultura occidentale, sognavano di passare la propria vita scrivendo. E volevano essere come Arturo Bandini, e riuscire a raccontare la vita come fossero in una storia dei Dublinesi. Le loro storie però parlavano di visite alla periferia di Monte Mario, a Roma, o di improvvisi colpi al cuore a Villa Borghese. I due ragazzi si chiamavano Manlio Cancogni e Carlo Cassola. E proprio non riuscendo ad essere nè Bandini nè Joyce divennero se stessi. Trovarono la propria voce.

Vale, S.

Per chi non ha mai ascoltato la voce di Epic (quello vero) e per chi non ha mai ascoltato questa intervista con set acustico al piano…

Ecco: http://alainfinkielkrautrock.blogspot.com/2011/11/tribute-to-epic-soundtracks-rare-french.html

S.

A Niznij Novgorod ero una rockstar.