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I Fantasmi di pietra

“Roma, questi fantasmi pietrificati
fra i quali io mi aggiro da sempre
e che si disciolgono la notte
e si rovesciano nei miei sogni
come un Tevere
che nel mio sangue s’insala…

ma poi di giorno, eccoli di nuovo diritti
agli angoli delle strade,
sugli sfondi del cielo o fra le nuvole,
i fantasmi di pietra
mi guardano, mi aspettano
che diventi uno di loro”

Giorgio Vigolo

Quando Giorgio Vigolo è morto, avevo compiuto da poco 13 anni e, seppure abitassi a poche decine di metri da lui e mio zio Enrico lo conoscesse bene, non credo ci fossimo mai incontrati. E’ stato solo qualche anno più tardi che ne ho conosciuto il nome: grazie a un suo romanzo giovanile (ma quasi postumo) trovato d’estate su una bancarella ai giardini di Castel Sant’angelo, “La Virgilia”. Storia di un amore fantasmatico oltre il Tempo, ambientato in una Roma ottocentesca ma eterna, dove i veri profili delle cose e delle persone sono celati dietro l’apparente realtà, “La Virgilia” ha avuto su di me un’infuenza enorme – in un certo senso “Il Giardino Elettrico” non ne è altro che un campionamento, una cover che si intreccia con un altro racconto indimenticabile di Vigolo, “Avventura a Campo de Fiori”. Ora sono tornato a vivere in Prati, e spesso passo sotto l’ultima casa di Vigolo a Viale Mazzini. A volte mi sembra di vederlo uscire dal portone, guardarsi intorno alla ricerca di qualcosa, o di qualcuno. Un giorno, quando avremo di nuovo la stessa età, lo avvicinerò, e lo ringrazierò raccontandogli alcuni segreti, anche se forse lui li conosce già.

“Se in un punto potessero incontrarsi (ricordi e prime speranze), la via della vita sarebbe riaperta, ristabilito il respiro sul favoloso regno della prima giovinezza. Sarebbe quello il punto realissimo e ideale: il luogo geometrico dello spirito… Sarà possibile raggiungerlo mai?” (da “Il ricordo perfetto”, 1940)

“Le cose, dunque, in quel giorno andranno presso a poco così. Si rianimeranno le statue appena scesa la notte. La prima a dare il segnale sarà la statua di Roma sulla torre del Campidoglio, quella che nella destra palleggia l’orbe della terra; e lo scaraventerà con dispetto nella piazza, come cosa di cui ormai non sa più che fare”

24 agosto. Mundus Patet.

S.

Nelle ultime settimane ho passato parecchio tempo a fare ricerche sull’epistolario di Sibilla Aleramo conservato presso la Fondazione Gramsci e in un plico, custodita accanto alle lettere della persona motivo delle mie ricerche lì, ho trovato una rosa, questa.

E’ stato come aprire una scatola sacra. E, forse, una nuova storia.

S.

Ho scritto la prima pagina del Giardino all’inizio di gennaio del 2007, tra Piazza Farnese (le prime righe) e un bar a Trastevere, Pizza e Champagne, che ora non c’è più. Poche settimane fa ho scoperto casualmente che quegli stessi locali del bar a Via dei Genovesi ora dismesso avevano ospitato la prima sede di uno storico negozio di dischi, Revolver (poi trasferitosi a Via Rosazza). Revolver fu uno dei principali punti d’incontro nella Roma dei primi anni ottanta degli appassionati di suoni post-punk e rock alternativo. A Pizza e Champagne invece passavo abbastanza spesso e un giorno ci pranzai con Nikki Sudden. Oggi, a distanza, posso dire che Il Giardino Elettrico è nato in due luoghi che a sceglierli appositamente non sarebbero potuti essere più adatti.

Il fatto è che Roma è esattamente questo: il persistere dei luoghi e di chi in essi vi è transitato. Forse è stato così sempre. Ieri parlando con un amico archeologo ho potuto verificare che con ogni probabilità Piazza Venezia, ovvero il sito dove oggi sorge Piazza Venezia, è stato fin dalle origini di Roma (e almeno fino al V o IV secolo a. C. circa) un luogo adibito alle sepolture. La statua di Iside (conosciuta a Roma anche come Madama Lucrezia) forse sorveglia ancora i resti mortali dei suoi adepti.

E’ stata una pagina di Peter Kingsley (Nei luoghi oscuri della saggezza, Marco Tropea Editore) a confermarmi nella prospettiva che mi aveva portato a procedere sempre di più dentro la storia che si stava dispiegando davanti ai miei occhi: “Questo libro non parla di fatti reali o di storie inventate, ma di qualcosa di ancora più inconsueto, al cui paragone ciò che consideriamo realtà altro non è che finzione. Il libro non è quello che sembra, allo stesso modo in cui non lo sono le cose che ci circondano…In realtà quello che conosciamo meno è proprio ciò che è più vicino a noi. La spiegazione è semplice: lo abbiamo dimenticato”.

Questa pagina mi ha confortato nell’idea di scrivere una storia di uomini e donne che stanno rischiando di perdersi o che non esistono più e pure rimangono legati a ciò che sono stati in vita, di provare a raccontare la strada di alcuni di loro verso un’idea di pienezza e felicità, oltre i confini del tempo percepito, del recinto di materia in cui muoviamo i passi e il cuore.

Vale, S.

Da alcuni giorni avevo in mente di creare uno spazio allargato del Giardino, soprattutto per dotarlo, come mi è stato chiesto da varie persone, di una bibliografia. E poi per continuare a raccontare Roma, la Roma nascosta a una prima vista, e quello che sta accadendo intorno al libro.

Eccolo.

Vale, S.